Gnocchi di patate


Sono seduta al tavolo della mia piccola cucina/divano a Milano, avvolta nella coperta con le angurie di tiger e se dovessi scrivere come parlo capireste ancor meno del solito perché ho il raffreddore:)
Oggi comunque niente brani di Kerouac o altre robe del genere, al massimo qualche riga del Fanciullo (è il mio manuale di linguistica storica e sinceramente è una figata, ma non so quanto a voi potrebbe interessare...); detto questo, invece di studiare prima di studiare, ho sentito il bisogno di condividere con voi questa storiella che credo sia la prima cosa di cucina che io abbia mai incontrato nella mia vita, ovvero gli gnocchi di patate della nonna. Ora, credo che oggi famiglia abbia la sua leggenda, non è vero? Tipo le tagliatelle di Nonna Pina oppure le frittelle di Paperino, cose così. Questa è la nostra, ed ogni donna della mia famiglia li sa fare. Io mi ricordo quando si andava a casa della nonna la domenica e lei ti accoglieva sulla porta con il grembiule legato in vita e le maniche della  camicia tirate su fino ai gomiti, con quelle mani fredde e rivide perché avevano come amico il fuoco del caminetto (lei toccava il fuoco scialla scialla, sì). In cucina aveva un tavolo di legno grande e spesso, quello con i cassetti sui bordi che dovevi fare leva anche con le orecchie per poterli aprire...dentro si tenevano tipo i mestoli, o i coltelli del pane. C'erano tutti i padellini di rame sulle pareti, e il ragù pronto, il formaggio grattugiato (aveva una di quelle macchinette elettriche tutte rosse con il portaformaggio di quel vetro spesso e decorato) e la torta sul calorifero così rimaneva calda. E poi, il panetto di impasto tiepido e morbido, di patate, farina e sale, quasi vivo, che aspettava su quel dannato tavolo di legno che quanti lividi ci ha fatto...noi, credendo di non farci scoprire andavamo sotto il tavolo e rubavamo di nascosto i pezzetti di impasto da spiaccicare con le mani, ma col tempo era lei che ce ne lasciava un angolino, noi facevamo i nostri gnocchi, la nonna i suoi. Il gesto è indescrivibile, così vecchio e perfetto, quasi ancestrale: chissà quante volte l'avevano fatto le sue mani, e le mani di sua madre, e quelle della madre di sua madre e così via...chissà che pensieri, che dolori, che gioie gli passavano nella mente impastando. Chissà cosa succedeva nel mondo. Chissà quanto costavano le patate. O il sale (mia nonna mi ha insegnato a buttarmi il sale alle spalle ai piedi di una scalinata senza voltarmi all'indietro se per caso lo facevo cadere per terra, ed  è l'unica superstizione di cui non riesco al liberarmi). Io e mia sorella a volte li facciamo, e nessuna delle due sa cosa passa in mente all'altra, eppure saremo a venti centimetri di distanza. Ovviamente non sappiamo rotolarli come lei, e di certo non sappiamo tagliarli. In verità non sappiamo nemmeno buttarli nell'acqua salata come faceva lei, e il ragù non è il suo. Però, è spettacolare vedere le mie mani ripetere, seppur imperfettamente, quello stesso gesto che va avanti da generazioni, e chissà se avrò mai delle nipoti che rifaranno la stessa cosa fra cinquanta o cento anni.
La ricetta non si può dire, ed in realtà è così radicata che nessuno la sa per davvero e nessuno la fa uguale all'altro. Però sarei molto contenta se voleste raccontarmi la vostra ricetta mito nei commenti:)
Buona settimana!

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