La mia vita con una rola - live edition. Di musei e santuari, pani e sogni a monetine.


In realtà, non é più live edition da tre giorni, ma faremo finta di niente perché ho una nostalgia così forte che alla fine credo che un pezzetto fisico del mio corpo sia rimasto là, e quindi si possa ancora tecnicamente parlare di "live edition" - sì, é il mio cuore, va bene? È rimasto a Bogotá, sulle Ande probabilmente. Magari é rimasto impigliato in una stradina stretta della Candelaria, con tutte quelle case colorate e la sua piccola piazza del Chorro de Quevedo, dove si dice sia stata fondata la città nel 1538, oppure invece si é perso nella gigantesca plaza de Bolivar - un sacco di piazze in Colombia e in altri paesi  del Sud America sono intitolate a Simón Bolívar, il Liberador, una figura complessa come potrebbe esserlo il nostro Garibaldi, e che aveva una casa bellissima sotto la montagna di Monserrate, che vale la pena visitare per rendere fisico il vostro immaginario della casa Buendía e rendervi di nuovo conto che le persone ai vecchi tempi erano piuttosto bassotte. A proposito di Monserrate, ecco un altro posto dove ho probabilmente lasciato il cuore: non tanto perché il santuario sia bello in sé, anche se l'appellativo di Señor di Monserrate é molto solenne e un luogo di preghiera rimane un luogo di preghiera - e poi quel bianco sta davvero bene in mezzo al verde scuro e piovoso delle montagne - ma più che altro per la vista incredibile che si gode della città tutta - non la si vede tutta solo perché l'occhio non ce la fa, é troppo ampia, ma si può osservare bene il movimento espansionistico verso le Ande, e la parte non ancora urbanizzata di esse, a sinistra del santuario. E poi cos'altro? La biblioteca Virgilio Barco, con i draghi dipinti sui vetri e i giardini che la circondano, le rotaie del treno della Savana nei trenta secondi di golden hour che offre Bogotà, il museo di Botero che non ha solo Botero e sono felice di vedere che so ancora riconoscere un Giacometti quando lo vedo (e c'é pure una statua di Manzù), anche se non capisco come mai la gente si diverta a farsi fotografare con le pose dei personaggi ritratti nei quadri - che poi di solito sono fermi in piedi, il punto é che sono cicciottissimi, e come fai a rendere questa idea e non sembrare solo un tizio random davanti ad un quadro? Non ci riesci, te lo dico io. Il museo dello smeraldo - adesso so riconoscere uno smeraldo vero, non mi potete fregare più - e, soprattutto, il museo dell'oro,  e ci dovete andare per forza con Juli perché lo conosce come le sue tasche e vi farà vedere i pezzi più incredibili, vi spiegherà la leggenda di El Dorado e vi farà innamorare di una piccola barchettina sottile e delicata che racconta una storia di grande potenza e che penso sia uno dei pezzi d'arte più suggestivo che io abbia mai visto - ho sentito dei suoni molto precisi nella mia testa mentre la osservavo, e temperature e sensazioni che riesco ancora ad immaginarmi se ci penso per bene. Andateci, vi presto io la Juli.

In questo (per ora) ultimo post, mi sono lasciata da trattare le mie due cose preferite in assoluto dei mie giorni a Bogotá, di cui una é nuova e scoperta proprio proprio in Colombia, l'altra invece é un amore di vecchia data, che però di rinnova e riscopre praticamente ogni volta che metto il naso fuori di casa: parlo rispettivamente della arepa, e dei forni. Cominciamo dall'esotico: l'arepa é in sostanza un dischetto di farina di mais cotto sulla piastra, che può variare in consistenza, spessore, tipo di farina e ripieno; ne esistono tantissime, più o meno ogni regione della Colombia ne ha una tipica - come i formati di pasta da noi, diciamo - ed é una cosa fantastica con cui fare colazione, magari assieme ad un uovo e della frutta. Io ho provato (nell'ordine di apparizione) quella santandereana - di mais giallo di solito mescolato al chicharrón, ovvero la cotenna di maiale fritta - io senza (credo), quella boyacense, che é piú spessa e lievemente dolce, ed era nella bandeja paisa pronta ad assorbire tutti i succhi, quella di queso, di mais bianco con ripieno di formaggio, poi quella di chocolo, che é anch'essa di mais bianco, ma cambia il metodo di lavorazione del mais stesso, e risulta lievemente più dolce, e soffice, quasi come un pancake, perfetta sia con del miele che con del formaggio, o con tutti e due, e l'arepa de cuajada, con una crosticina caramellata sopra al formaggio che la rendeva simile ad una creme brulèe. Io ammetto senza riserve che l'arepa con queso é e rimarrà per sempre una delle mie cose preferite nella vita - soprattutto da quella cena mia e di Juli con la zuppa di zucca speziata e fumante e l'arepa da pucciarci dentro con il formaggio che filava, ed era la variante colombiana del mio pasto comfort preferito, e mi é sembrato tutto perfetto. 


Per quanto riguarda il mio amore per i forni invece, un solo posto ha davvero fatto breccia nel mio cuore - la Tienda del barrio di Juli, che lei chiama ancora la Queserita, e che anche io chiamerò per sempre così. In verità, questo posto é nel mio cuore da anni per una storia bellissima che é poi quella da cui é iniziato davvero il mio sogno di andare a Bogotà. Un giorno di qualche anno fa, probabilmente d'autunno o primavera, io e Juli stavamo pranzando sedute sui gradini della cappella della Statale, fuori dalla Nuova, e lei mi stava insegnando a mangiare la patatine fritte con la senape - cosa che ho fatto ever since; non so bene come ci siamo finite, ma Juli si é messa pure a raccontarmi di quando a Bogotà lei andava a mangiare il roscon della Queserita, una brioche soffice e poco zuccherosa ripiena di boccadillo, con la ponymalta, una strana bevanda al malto che sa di avena fementata - onesto -, seduta sui gradini fuori dal negozio. Probabilmente non so come siamo finite a parlare di questo perché sto mescolando due ricordi, ma é anche vero che se c'é una cosa incredibilmente goduriosa da fare con Juli é mangiare e parlare di cibo, quindi può benissimo essere che il ricordo sia esattamente così come lo descrivo. Comunque, da lì è iniziata la mia ossessione per il roscon, o meglio, l'idea di mangiarmelo seduta fuori dai gradini di un piccolo forno di Bogotà e berci la ponymalta, Juli ha iniziato a darmi delle monetine così che un giorno io potessi comprarmene uno - giuro! le ho sempre tenute con me e gliele ho riportate a Bogotà - e abbiamo cominciato a fare liste e liste di cose che avrei dovuto mangiare il giorno che sarei venuta in Colombia. Ora quasi tutte le voci della lista sono state spuntate, e mi tocca trovarmi un nuovo sogno da coltivare a monetine. 


Sarebbe stato fighissimo chiudere così, ma in realtà volevo anche farvi vedere questo pane di yuca (con le puntine) e i due pan de bono, uno con queso (quello che sembra un vulcano) e uno con bocadillo, perché erano troppo incredibilmente buoni per non fissarli -  e sì, l'ultima é l'arepa di cuajada di prima. Ciao!





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