Pizza di cavolfiore


Ultimamente, non ho molto tempo per scrivere di ricette. Ci penso spesso, sia a quello che ho cucinato e che aspetta di andare online, sia a quello che vorrei cucinare e che aspetta di diventare reale, ma poi non trovo mai un ritaglino ino ino per sedermi davanti al computer e scrivere. Forse perché mi siedo davanti al computer e scrivo tutto il giorno? Che messo così sembra che io mi sieda e mi rialzi, mi sieda e mi rialzi ripetutamente per otto ore consecutive. Il potere delle parole giuste al momento giusto. E forse questo é il momento giusto, perché sono in treno, e il treno é sempre un luogo magico di creatività, e la pagina bianca di Blogger mi sembra si stia fondendo con le tonalità sabbia e verde scuro della campagna circostante, e questo é certamente un buon segno, il mio cervello sinestetico si sente a proprio agio nel momento. Una palude ancora ghiacciata. Betulle. Oche canadesi e gru in migrazione. Una casetta per gli uccelli rossa come la fattoria rossa e le case rosse per animali assortiti, umani e non.

Cucino cose da sostentamento. Cioè pasti rapidi e nutrienti e che diano della gioia. Non mangio mai lo stesso carboidrato due volte al giorno. Faccio una colazione salata. Che altro? Mi piace l’ICA vicino a casa che ha i biscotti ai datteri per il Ramadan e tutte le mie cose colombiane preferite, tra cui la Ponymalta che io quasi piangevo quando l’ho vista e ho dovuto controllare se non ci fossero anche i roscones tra i kanelbullar perché sarebbe stato troppo perfetto - non c’erano, per ora. Ogni tanto la sera dopo cena esco e ci faccio una capatina a questo ICA, mi rilassa e mi fa sentire felice.

Cucino dei piccoli progetti, o meglio, metto nella lista delle cose da cucinare dei piccoli progetti e spero di cucinarli prima o poi. La pizza di cavolfiore é riuscita ad uscire dalla mia mente e dalla mia lista dopo, credo, due anni, ma ne é valsa la pena. L’ho letta in un libro di GreenKitchenStories tra una serie di consigli per far mangiare più verdure ai bambini; io sono vegana e non sono più una bambina, almeno biologicamente, ma comunque l’ho apprezzata lo stesso. Dovete tritare finemente in un mixer le cimette di un cavolfiore, fino a creare una sorta di couscous; ne misurate un litro, e poi lo mescolate in una ciotola capiente con 80g di farina di mandorle, un pizzico di origano e 3 uova (che ancora non ho capito come sostituire, ma ci stiamo lavorando); impastate il composto fino ad avere una palletta appicicosiccia ma compatta, fatela riposare in frigo per una decina di minuti e poi formate la base della vostra pizza modellando a mano l’impasto rovesciato su una teglia con carta forno, stando attenti a creare un bordino più alto. Cuocere a 200° per 15 minuti, e intanto preparate i condimenti che vi piacciono: questa ha una crema di feta (vegana) e polpa di zucca, patate tagliate con una mandolina e fatte ammorbidire in acqua salata per 30 min (asciugatele per bene, e tagliatele molto sottili), del kale condito con limone e olio. Passati i 15 minuti, sfornate la base, conditela, e poi cuocetela di nuovo fino a doratura (e cottura degli ingredienti), circa altri 15/20 minuti. Fate raffreddare un pochino prima di tagliare, o si sfalderà tutta. Nel mentre potete aggiungere un filo di olio buono a crudo, un pizzico di sale aromatizzato (come quello con le alghe delle Lofoten che mi ha portato la Carla dalla Norvegia) e del lievito alimentare. Da il suo meglio il giorno dopo a colazione, come tutte le pizze.

Scritto ieri sera sulla tratta Uppsala-Stoccolma, che ora sarà bianca perché ha nevicato tutta notte.

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