Osservazioni sul godere+i ravioli cinesi di Paolo Sarpi

Voi, per cosa vi emozionate? Quale è la cosa che vi emoziona di più, che vi elettrizza, quel punto della realtà che vi cattura e a cui non riuscite a smettere di pensare? Per me, è il cibo. Non so spiegarne il motivo, ma ne sono rimasta sempre attratta. Mi stupisce incredibilmente come una ricetta tipica di un angolino di mondo possa racchiudere così tanta storia, intesa come quella del mondo e come quella personale, di gente come me e te che ha un ricordo preziosissimo legato a quel piatto. Fateci caso, tutti hanno un momento legato ad un cibo che li ha segnati, che si ricordano come se fosse appena successo e che si tengono nel cuore nonostante tutto quello che avranno passato nella vita. Il cibo ha una forza identitaria e allo stesso tempo unificatrice che secondo me non ha nessun altro aspetto di una cultura; letteratura e musica non sono davvero fruibili al cento per cento da tutti, e lo stesso vale per l'arte, o per una tradizione o un costume: puoi osservarli, trovarti circondato e totalmente permeato, ma non sei davvero dentro, non fai la stessa esperienza che fa uno che quella cultura ce  l'ha come madre. Mangiando, e cucinando, invece sì. Provi le stesse cose, assapori lo stesso gusto, fai gli stessi gesti di chi è cresciuto con quel piatto, diventi uno di loro. Tua madre la domenica fa la polenta con il coniglio, sua madre la domenica fa gli uramaki, e questa particolare domenica sei anche tu figlio suo.

Per me viaggiare coincide in modo indissolubile con l'assaggiare la cucina locale. È il solo vero modo, secondo me, per dire di aver vissuto un posto, di averlo conosciuto. Osservi la gente, la conosci, ci entri davvero in contatto perché tutti, ma tutti, sono sempre felici di parlarti di ciò che stanno mangiando, in tutti si accende orgoglio e amore per la propria storia e la propria tradizione, se si parla di cibo. Magari ce l'hanno a morte con il governo, vorrebbero andarsene per avere altre possibilità, altro lavoro, altri diritti, o non amano etichettarsi o non direbbero mai di loro stessi di essere dei patrioti, e nemmeno di voler bene a casa loro, ma chiedi ad uno di questi cosa si mangia nella loro terra, e ti assicuro che lo vedrai illuminarsi.


Questa estate ho visto "Somebody feed Phil", serie TV documentario di Netflix, in cui il protagonista, Phil Rosenthal, gira per il mondo visitando in ogni episodio una città diversa, dove incontra amici e, sostanzialmente, mangia. Dopo qualche tempo che stavo guardando questa serie, mi sono imbattuta in in articolo che la recensiva negativamente; una delle critiche del giornalista era in sostanza che questo Phil non ha alcuna conoscenza specifica del paese e della cultura che sta visitando, perciò non dà davvero alcun contributo interessante alla, diciamo così, "narrativa di viaggio". In in certo senso, l'autore dell'articolo ha ragione, Rosenthal non è un sociologo, né uno chef o un critico gastronomico: è un attore, e non ha niente a che fare con la cucina, se non il possedere una grandissima passione per il cibo e un fratello che ha avuto l'idea di farlo andare in giro a mangiare. Il fatto che la figura portante di "Somebody Feed Phil" sia così neutra nei confronti di chi incontra, che non si approcci a lui come uno che sa, ma solo come uno che vuole gustare ed essere felice, lascia un enorme spazio al soggetto interlocutore, alla sua storia e alle sue idee. Phil è dell'intelligenza e della simpatia perfette per condurre il gioco e tenerti attaccato allo schermo, ma la sua vera, grande forza è una curiosità genuina, quasi da bambino, che lo porta a stupirsi, gustare e fidarsi di ogni cosa. Mi sono accorta che il suo modo di mangiare, di assaporare e analizzare ogni morso, e di manifestare verbalmente, in modo anche un po' buffo, il proprio apprezzamento, mi ha conquistata e in un certo senso permeata: non avevo mai davvero gustato ciò che mangio come ora, come un'esperienza per me, prima che culturale (e poi grazie a lui ho scoperto Bottura, e sapete come è andata a finire). 

Ho cominciato a segnarmi alcuni posti di Milano dove vorrei andare, o dove sono già stata e che mi sono piaciuti molto, per poterli gustare "alla Phil", e non vivere solo come una tappa obbligata per il bravo foodie. Non ci sono tappe obbligate, sono solo io che scelgo, ed è l'unico modo affinché il cibo sia davvero piacere e incontro e sempre nuova cultura. Uno dei posti dove sono subito tornata, e che mi ha fatto accorgere di quanto "Somebody Feed Phil" mi sia rimasto dentro, è La Ravioleria di via Paolo Sarpi. So che vi sembra un nome troppo generico, ma è unica e inconfondibile, un piccolo negozietto bianco che fa solo asporto, e se per caso vi foste persi basta andare nel punto dove c'è più fila: è lì.  I ravioli hanno solo tre gusti, vegetariano, manzo, maiale, e una porzione da 4 ravioli costa 3,50€; volendo potete anche comprarli crudi (8 ravioli per 5€), da cuocere a casa in acqua bollente per 6 minuti, e l'altra cosa interessante da sapere è  che il venerdì potete portarvi a casa da cuocere anche quelli di gamberi. La carne viene dalla macelleria Sirtori lì accanto, che è una delle più antiche di Milano, e se ci pensate questo è proprio quello che intendo quando dico che il cibo è l'aspetto della cultura che più di tutti crea comunità: perché accanirsi contro chi arriva di nuovo, o chiudersi verso chi c'era già, quando dall'incontro si può creare una cosa tanto buona da far mettere in fila la gente più disparata? E alla faccia di chi crede che se qualcosa è popolare ed economico non sarà mai di qualità: tutto viene da piccole aziende molto interessanti ed è la prima scelta. Andateci, prendere i vostri ravioli, sedetevi sulle panchine di pietra alla vostra sinistra oppure passeggiate lungo l'assurda via Sarpi, la Chinatown di Milano, e, soprattutto, non fatevi problemi ad esprimere il vostro godimento per quella pasta spessa e morbida, per il ripieno caldo e saporito e per la salsa di soia bollente che probabilmente vi gocciolerà sulla mano o sulle cosce facendovi imprecare. Ma chissene frega in fondo, no?




La Ravioleria Sarpi, via Paolo Sarpi 27, 20154 Milano, MI.


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