Di castagne e castagnacci
Sabato scorso io e mia sorella siamo andate a raccogliere castagne. Molto bello.
Fall vibes. Avevo la sciarpa perfetta. Mentre sei nel bosco e segui il sentiero,
ad un certo punto devi scegliere dove buttarti e tentare la sorte, sperando di
trovare ciò che cerchi. Poi scendi lungo il fianco della collina (perché da noi
è così, i boschi sono sui colli, oppure in montagna), ti accucci alla base dei
tronchi dei castagni e ravani tra le foglie, cercando di non cadere e di non
pungerti le mani, sviluppando tecniche sicure di apertura dei ricci e
sdraiandoti su tutti i rami che trovi lungo il tuo cammino. A Marica non
piaceva il bosco dove siamo andate, dice che è disordinato, ma a me ha
incantato: le piante crescevano un po’ dove volevano e la luce filtrava da
punti insoliti, creando cattedrali, dirupi, incroci, viali…io ci vedevo pezzi
di città, perché è quello l’ambiente che ho conosciuto per primo e con cui
paragono il mondo, ma quanto sarebbe bello invece poter dire il contrario, vedere
il bosco nelle città.
Mentre scendevamo con il nostro sacchetto di castagne, mia sorella mi ha
chiesto di farle il castagnaccio. Non sarei stata assolutamente in grado di
farlo partendo dalle castagne fresche, ma avevo ancora una buona scorta della
stupenda farina di castagne toscana della Julieta, e quindi ci ho provato. Da
quel che ho capito, ci sono molti aromi diversi, a seconda della zona della
Toscana in cui mangiamo il castagnaccio, e io ho scelto di metterci uvetta,
pinoli e qualche rametto di rosmarino, seguendo la ricetta del mio blog di
cucina toscana preferito; leggete però questo post molto interessante sulle
castagne, così potrete scegliere poi voi come aromatizzare il vostro
castagnaccio.
Ho letto un po’ di storie su questo dolce, mentre me lo mangiavo caldo e
spalmato di crema di nocciole. Mi è venuta in mente la frase della scrittrice
Marina Migliavacca Marazza, letta su La Cucina Italiana: “C’è più Storia da
raccontare dentro ad un piatto tipico che dentro ad un castello”. Forse non
avrei azzardato un paragone di maggioranza, però che ci sia tantissima Storia
nella cucina è un fatto innegabile. Quante cose ci dice il castagnaccio? Ci
parla dell’importanza delle castagne, che durante il Medioevo piantate in tutto
il Centro e il Nord Italia e salvavano ogni anno la gente dalla fame: bastava
andare nei boschi a raccogliere questi frutti lucidi per avere subito qualcosa
di buono e nutriente da mangiare. Poi potevi farli seccare, macinare ed ecco
farina dolce per tutto l’anno, con cui fare pane, polentine e torte. I suoi
mille aromi ci parlano dell’inventiva della gente e del campanilismo italiano,
soprattutto quando si parla di cucina: ogni famiglia si tramanda la sua
versione del castagnaccio, e ovviamente quella della mia mamma è
indiscutibilmente la migliore; per uno che, da esterno, il castagnaccio se lo
vuole solo gustare, sembra semplicemente una buona occasione per mangiarsene di
più.
La mia storia preferita, però, è una storia di magia: una credenza popolare
diceva che il rosmarino con cui si aromatizzava il castagnaccio fosse un
potente filtro d’amore; perciò le fanciulle donavano un pezzo di questo dolce
ai ragazzi di cui erano innamorate, per farli capitombolare e sposarli. Mi
piace molto perché ciò che la cultura popolare dice sulle erbe, e in generale
sul cibo, mi affascina, e ha sempre da qualche parte un fondo di verità. E poi,
me la immagino, una ragazza furba dai capelli lunghi lunghi un po’ spettinati,
che cosparge l’impasto del castagnaccio pronto per il forno pensando al povero
figliolo ignaro di tutto che se lo mangerà.
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