La Svezia e ... il Falukorv.

 Come forse qualcuno di voi saprà, io soffro della cosiddetta climate anxiety, ovvero uno stato di ansia e angoscia dovuto alla crisi climatica attuale. Nel mio caso, si inserisce nella mia intima e sinestetica percezione del mondo, guastando l'immagine che ho nella testa di come dovrebbe essere febbraio, e mi fa sentire nostalgica di una bellezza passata e triste alla prospettiva che non tornerà più.

Ho però sviluppato due strategie per riuscire ad affrontarle questa mia fatica e crescerci insieme - non penso di poter superarla, ma forse non voglio nemmeno, perché credo che, usata correttamente, possa essere uno strumento utile di azione; sono 1. informarmi e 2. stare nella natura. La prima é lo strumento con cui la mia parte razionale aiuta quella irrazionale ad afferrare e definire con chiarezza il problema: mi sento più sicura se ci sono contorni precisi e tratti analizzabili e non mi sembra di combattere contro una bestia indefinita e oscura. Su questo punto, ho seguito una conferenza incredibile di Johan Rockström, per la quale sarò sempre immensamente grata, e del quale consiglio a tutti di leggere qualcosa, perché se c'é qualcuno che ne sa di cambiamento e crisi climatiche, é lui. La seconda strategia, invece, é quella che la mia parte irrazionale usa per aiutare la mia parte razionale ad accogliere il bello del mondo che, nonostante dati e temperature, ancora esiste ed é più stupefacente di quanto mi aspetterei - la Terra é un pianeta incredibilmente resiliente.

E allora qualche giorno fa sono riuscita ad andare a camminare sul lago ghiacciato che vedo sempre dall'autostrada quando andiamo a Stoccolma in macchina, e per un paio d'ore sono stata anche io una di quelle figurine colorate che si notano dall'alto e che invidio ogni volta. Dalla mia prospettiva é stata una grandiosa avventura perché sono scesa alla fermata di Knivsta e poi sono andata alla ricerca del lago così, un po' a naso, ed é come se lo avessi scoperto io per la prima volta per tutta l'umanità. All'inizio quasi non lo riconoscevo perché non c'era alcuna differenza tra lui e il prato di neve attorno, ma poi ho visto un molo che non poteva essere circondato da altro se non acqua. Attorno al lago, e forse anche un po' dentro, non lo so bene, c'era un bosco e ho trovato delle impronte di un animale che non conoscevo, e dei percorsi nascosti con delle assi di legno, e ghiaccio. Mi é sembrato di entrare a Narnia. All'inizio mi sono avventurata solo lungo le orme di altre persone, perché l'idea delle acqua sottezero che in fondo scorrono sotto i tuoi piedi rimane sempre un po' spaventosa e, quando mi sono trovata nel mezzo del lago per la prima volta mi sono dovuta trattenere per non scoppiare nel panico. Poi però era tutto così bello e surreale, le poche persone così tranquille e naturali, che anche io mi sono sentita sempre più serena e ho passeggiato in lungo e in largo dappertutto. In verità, credo sia stata la signora con il cane e la slitta a farmi davvero abbandonare ogni timore. Ho visto anche un'isoletta in mezzo al lago che si poteva circumnavigare o attraversare, una signora pazza fare il bagno, cani piccolissimi scivolare nella neve, e molta gente sciare e pattinare; barchette ghiacciate sotto il pelo dell'acqua, immobili foreste di canne, moli di tutti i tipi e case svedesi di legno in cui vorrei moltissimo abitare, e anche dei signori che stavano misurando non so che. È stato davvero un giorno felice, di una bellezza incredibile e che mi ha fatto proprio bene. Ho camminato 12 km su un lago svedese ghiacciato coperto di neve. Sono tornata sulla terraferma passando di nuovo per il bosco e le passerelle di legno con le impronte di animali sconosciuti, nonostante non fosse strettamente necessario, perché avevo la sensazione che il lago ghiacciato esistesse in verità in un mondo nascosto e parallelo e che quei ponticelli fossero il portale per raggiungerlo - il mio lago non esiste se non al di là di essi. Ah, e poi sono scivolata, ma una volta arrivata sul prato. Perché no.

Tutto questo in verità mi ha ricordato un'altra gita incredibile che abbiamo fatto l'anno scorso a febbraio, nelle miniere di rame di Falun. Falun é la città principale della regione più svedese della Svezia, come diceva il mio collega Emil, la Dalarna, che in effetti devo ammettere é un posto incantato di laghi, prati e colline, e che custodisce alcune gemme preziose come, appunto, le miniere di rame e poi la casa museo di Carl Larsson (che se non conoscete vi consiglio vivamente di rimediare, perché é un balsamo per il cuore). Le miniere sono state una delle principali risorse dell'economia svedese fino al 1992, e hanno contribuito in molti modi all'immagine e alla cultura del paese; e quando dico immagine, lo intendo letteralmente: il colore rosso della terra di Falun, impregnata di rame, viene tutt'oggi usata per creare una tintura, il faluröd appunto, con cui s'imbiancavano le case di legno tradizionali, che non solo così rassomigliavano più precisamente alle case dei ricchi, di mattoni, ma venivano anche protette e isolate dagli agenti ambientali ostili. Anche noi abbiamo un piccolo barattolo di rosso di Falun, ma non gli ho ancora trovato un uso adeguato. 

L'altra cosa rossa che si trova a Falun é il falukorv. Korv é la parola base per tutti gli insaccati svedesi, che generalmente assomigliano più ai dei würstel tedeschi che a delle salsicce italiane - e non ce ne stupiamo, almeno per quel che riguarda il falukorv, perché la storia narra che fu inventato proprio dai lavoratori tedeschi delle miniere, per usare gli avanzi di carne degli animali impiegati in cantiere. Questo korv di Falun, largo a volte come un braccio e impacchettato a forma di ferro di cavallo, é avvolto da una cera rossa che lo rende abbastanza iconico, ed é stato riconosciuto specialità tradizionale garantita dall'Unione Europea. Ma la cosa che mi affascina più di tutte é come si mangia questo falukorv. Il mio amico della Dalarna mi ha raccontato che molte mamme svedesi, quando arriva la sera e non sanno cosa preparare, soffriggono delle fette di falukorv in padella e lo servono sopra una scodella fumante di morbidi makaroner cotti nel latte, con una buona dose di ketchup spalmato sopra. Schifante e attraente allo stesso tempo, vero? Vi consiglio, se dovesse mai capitarvi tra le mani un falukorv, di provarlo. Ho avuto conferma della tipicità della ricetta dalla sua presenza del mio libro di cucina nordica, e ora ve la riporto. Anche il ketchup potete farlo voi in casa, con questo metodo facilissimo che ho trovato nella Cucina Italiana: basta sciogliere in una casseruola 80gr di zucchero per 1-2 minuti, aggiungete 60gr di aceto a fuoco spento, poi riaccendetelo per sciogliere bene i grumi; versate 250g di passata e 50g di acqua, fate cuocere per 8/10 minuti, poi salate e spegnete; dura qualche giorni in frigorifero ed é davvero buonissimo.

Per il resto, cominciate portando a bollore un litro di latte con un pizzico di sale, e poi cuocetevi dentro 500g di makaroner - la pastina piccola a forma di C; ci vorranno circa 25 minuti, e vi conviene mescolare spesso per non farli attaccare al fondo. Quando la pasta é pronta e morbida, spegnete, aggiungete della noce moscata e se serve aggiustate di sale. Intanto preparate il falukorv semplicemente friggendolo tagliato a fette, in padella con una noce di burro, facendole dorare su entrambi i lati; é consigliato incidere ogni fetta con una X, per evitare che si arricci in cottura e anche per facilitare la rimozione della pelle. Servite 3/4 fette di falukorv su ogni porzione di makaroner e poi completate con il ketchup.

Poiché la Svezia é un paese magico ed esiste un falukorv plant based, potete facilmente rendere questo piatto completamente vegano, e io credo che lo farò più spesso perché in fondo mi é anche piaciuto.

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