Piccola guida inutile e impressionista di Copenhagen.


Sono stata a Copenhagen per tre settimane, e me ne sono innamorata. Completamente, follemente, irrimediabilmente. Ho quasi pensato che la preferirei alla Svezia se solo non avesse questo difettuccio di essere così a sud - ormai non posso più vivere in un paese dove i laghi non ghiacciano in inverno.

I fattori che mi hanno fatto innamorare della capitale danese sono moltissimissimi, e sicuramente ha contribuito il fatto di aver avuto finalmente l’opportunità di studiare dal vivo un manoscritto importante per la mia ricerca. Ogni mattina prendevo la mia piccola bicicletta carina - che mi sono portata sul Flixbus dove ha subito un leggero incidente e ha cantato come un grillo per un mese ogni volta che la usavo, facendo voltare i passanti- lasciavo il mio piccolo Airbnb dentro le Kaktus Towers - chiamate così perché ricordano dei kaktus (ok) e sicuramente sono belle strane, ma io avevo un gigantesco terrazzo al 19o piano e non posso certo lamentarmi - e pedalavo lungo il canale, tra alti palazzi di design e viali alberati, per arrivare alla scomoda sedia bianca numero 1 della sala speciale di lettura e ricerca del secondo piano della Biblioteca Reale di Danimarca, altrimenti detta il Diamante Nero - sembra il nome di un libro di Salgari, vero? Lasciatevi permeare per un istante da tutta la suggestività di questo nome, e osservate l’enorme edificio trapezoidale ricoperto di granito nero dello Zimbabwe, sporgente verso l’acqua e tagliato a metà da una enorme vetrata cristallina: l’idea é quella di uno scrigno inviolabile, scuro e duro, che dentro però protegge un tesoro, rappresentato dalle linee dolci delle pareti interne, e dal materiale scelto, una pietra morbida mescolata a sabbia portoghese, che la rende quasi vellutata al tatto; c’é poi moltissima luce, vetro e acqua, un soffitto cangiante affrescato da Per Kirkeby che mi accoglieva tutte le mattine mentre salivo ai piani alti, e anche una parte vecchia con una sala di lettura in legno che mi faceva piangere dalla bellezza - e dalla polvere. Questo é stato il mio primo amore copenaghese - tutta l’esperienza, dalla bicicletta al canale allo sbucare di fronte alla biblioteca nell’aria fresca e soleggiata dei mattini di fine estate - e capite che, insomma, poi sei di parte qualunque cosa succeda.


La modalità preferenziale del mio rapporto d’amore con Copenhagen é stato il passeggio, all’ora di pranzo per cercare una panchina o un molo su cui mangiare, nella golden hour dopo il lavoro per dedicarmi ai mille giretti turistici che mi ero messa in testa di fare - sono orgogliosa di dire che me li sono spuntati quasi tutti - quasi perché bisogna sempre lasciarsi qualcosa da scoprire, no? Tipo, io non conosco il significato della parola “naive” perché così avrò sempre una parola da scoprire  - scherzo, ormai lo so perché la signorina Nome Cognome me lo ha gridato giù dalle scale in vacanza Maturandi a giugno 2014 solo per farmi un dispetto, ma io faccio finta che non sia mai successo. Comunque, tornando a noi, ho sviluppato due spot preferiti che ora vi raccomando, e sono il Parco della Biblioteca Reale - e non poteva essere altrimenti - e i Giardini del Re, che al suo interno contiene il piccolo castello di Rosenborg, una sorta di gioiellino rinascimentale che però consiglio vivamente se vi piacciono le fantasie in blu scuro e oro da trasformare in calzini da collezione, e i gioielli della corona che pesano un quintale a gemma. Un sacco di pasti ho consumato in questi parchi, e in quello del Re ho anche visto una brutta versione di Romeo e Giulietta che però mi ha dato un po’ di gioia. Un altro posto che ricordo con tenerezza é il castello di Christianborg, IL castello di Copenhagen, dove potete fare un biglietto cumulativo per tutte le sale e usarlo entro 30 giorni, e quindi io ogni tanto mi facevo una pausina per vedere un pezzettino di castello, ed era un momento rigenerante; nelle sale di rappresentanza ci sono degli arazzi contemporanei di Bjørn Nøørgard per les Gobelins, regalo del 50o compleanno della regina Margherita che rappresentano tutta la storia della Scandinavia in un modo che ricorda quasi un fumetto, e mi sono piaciuti parecchio. E poi la Torre Rotonda, con l’Osservatorio in cima, dove io e Marie abbiamo portato delle birre - a Carlsberg please - e delle patatine con le forme dei pianeti - davvero! - e ci siamo fatte un aperitivo un po’ zingaro e bellissimo aspettando il tramonto rosso fuoco e commentando i modi di farsi i selfie delle tipe cinesi, come due brave sciure lombarde quali siamo. O quell’altra torre, della Chiesa del Nostro Salvatore a Christianhavn, il posto dove sono stata più vicina a morire o ad uccidere qualcuno che in tutto il resto della mia vita, una guglia di metallo con scalette che le si arrotolano attorno come un serpente e dalla cui cima vedresti anche un panorama incredibile, se non fosse disturbato dal film della tua vita che intanto ti scorre davanti agli occhi così, per prepararti, nel caso fosse giunta la tua ora - sappiate solo che prima di iniziare la salita, lo staff ha appeso un bel cartello in cinque lingue diverse che ti invita a salire A TUO RISCHIO E PERICOLO - dimmi tu che modi sono questi. Ma credo che il posto che mi ha davvero rubato il cuore, e che ogni tanto rievoco nella mia mente per calmarmi un pochino dopo qualche cosa di difficile e stressante, é la Ny Calsberg Glyptotek: lasciamo perdere certi quadri di Monet cosÌ vividi che io ho cominciato a salivare al pensiero dell’aspro di quei limoni dipinti, o le stazioni interattive create dal podcast The Third Ear che mi hanno fatto venire i brividi lungo la schiena a sentire la Pizia invasata da Apollo schiacciare Creso, e mi hanno creato un’ossessione per l’antico Egitto tale che probabilmente mi farò mummificare, ma il Giardino d’Inverno, ragazzi, che concetto stupendo e sublime é? Una cupola di vetro che racchiude una piazzetta con fontana, piante e prati e statue greche in vedo non vedo con le foglie. Insomma. Dai. Come può esistere qualcosa di più commovente e desiderabile? E poi che il tizio che ha fatto i soldi con la Calsberg avesse questa mania collezionista é buffo e mi piace. Ci sarebbero altre mille cose da citare - il Louisiana Museet con quel giardino sul mare! Il Superkilen park, la chiesa di Grundtvig che non sembra vera, il DAC , l’orto botanico con le sue serre umide e piene di farfalle, il museo nazionale di arte - ma, se capitate a Copenhagen e avete un pomeriggio di buco, andate in stazione centrale, prendete un treno regionale e fermatevi a Helsingør, passeggiate per le sue viette di case colorate e ciottoli, trovate il monastero con il suo chiostro infestato da rovi di rose che vi farà sognare, e poi, raggiunto il porto, passeggiate lungo quella meravigliosa costa beige e azzurra e bianca, tra bambini che raccolgono conchiglie e pescatori con risvolti alle ginocchia, godendovi la vista del castello di Kronborg, quello di Amleto, e probabilemente, in certi momenti dell’anno, l’odore della battigia vi aiuterà ad immedesimarvi nel fatto che c’é del marcio in Danimarca. E ah, la sponda che vedete dall’altra parte, é la Svezia!


Tavolino di Rosenborg; i Giardini del Re; la parte vecchia della biblioteca Reale vista dal suo parchetto; Amalienborg; canali a Christianhavn; la torre terribile; Sant Fredrik kirke; una Bibbia con un fiore secco; il mio ghiacciolo al porto di Helsingør; Kronborg; vista dalla torre di Kronborg; the same; il porto di Helsingør con i due fari colorati; ancora la vista; e ancora; il monastero di Helsingør; il suo chiostro; e la vista di nuovo; una colonna carina; l’interno della chiesa del monastero; il chiostro visto dal portico; lo stesso; un murales; la chiesa con una barchetta (ho visto un sacco di barchette dentro le chiese scandinave, ma non so perchè siano lì); vie di Helsingør; la chiesa di Helsingør; piazza d’armi di Christianborg; canali; vie di Helsingør; la biblioteca della regina; il parco di Kastellet; ancora; tappezzeria a Christianborg; la chiesa anglicana nel parco di Kastellet; chiesa ortodossa; St Fredrik kirke; casa azzurra carina; il parco di Kastellet verso il porto; Nyhavn; un fregio bello; un palazzo penetrante; Rosenborg al tramonto; Nyhavn; sempre la torre ma con un canale; dei bei poster in giro per la città.

Ma, lo so che siamo tutti qui per un’altra passione oltre ai castelli - che comunque, non li buttiamo via, anche se io una volta sono stata bullizzata da un tipo che riteneva visitare i castelli roba da vecchi - invece fare giurisprudenza oh, the coolest thing - ma comunque, focus. Sul meraviglioso cibo di Copenhagen. Un sacco di cose mi hanno fatto proprio dire uau, e comincerò da quella che mi manca di più e alla quale penso spesso - tipo ora su questo treno appena arrivato a Stoccolma.

[piccolo stecchetto di una decina di ore on cui ho cercato di lavorare - male - festeggiato il compleanno del piccolo essere che preferisco al mondo e letto dei giornalini su Gesù - yup - che sarebbe passata inosservata ma noi siamo per il realismo a tutti i costi e allora almeno cinque minuti ve li dovete perdere pure voi].

Eccoci, su un nuovo treno, e devo resistere alla tentazione di mettere i piedi sul sedile davanti per reggere meglio il computer. Comunque, dicevamo, la mia cosa preferita in assoluto, che mi ha fatto piangere di piacere e perfezione, é stato il Butter Burger di Gasoline Grill. Mettere il burro sopra il burger caldo, signori miei, cosa ci può essere di più perfetto? Niente, ve lo dico io. Immagino sia stupendo su una polpetta di carne, la mia era di funghi ed é stato il paradiso - il posto poi é praticamente dietro i giardini del Re, e ovviamente aver mangiato lì questa cosa sublime ha contribuito non poco al mio amore per il parco. Ordinate le patatine fritte, la limonata al sambuco se é di stagione e io non ho resistito alla mousse al limone che mi sono mangiata il giorno dopo per colazione e ha continuato ancora per qualche ora la mia felicità. Al secondo posto come pasto nel parco ci metterei l’hotdog danese - che si chiama in verità pølse - di Døp, buono ma soprattutto perché l’ho bevuto con il latte al cioccolato e mi ha divertito molto - questo l’ho preso da Somebody feed Phil, e la signorina del banchetto era stata così rapida e decisa nella sua risposta che non potevo non provarlo anche io. Un’altra esperienza culinaria che mi ha fatto sognare sono stati gli smørrebrød di Aamans, un piatto tradizionalissimo danese, delle fette di pane di segale con cremine e condimenti scenografici, che la città ha cominciato a rendere sempre più gourmet seguendo le idee di Aamans e altri: tradizionalmente si mangiano con l’acquavite e io ho religiosamente seguito la tradizione. Quello con uova e gamberi era spaziale, hanno semplicemente messo del limone in più nella maionese ed é una di quelle idee per cui ti viene da dire, com’é che non ci avevo pensato prima? Poi i tacos di Hija de Sanchez al mercato di Torvehallerne e il burger di quinoa del POPL, con la sua birra buonissima bevuta lungo Ny Havn.


Butter burger in tutta la sua gloria; il Gasoline Grill; cioccolato al latte e hotdog del carrellino di DØP; snapps con cui tradizionalmente si mangia lo smørrebrød; il mercato di Torvehallerne con un sacco di belle verdure; smørrebröd; e di bella frutta; e di belle ostriche; e formaggi; e polpette che di chiamano frikadellen - ecco, quelle me le sono persa mannaggia; tacos di Hija de Sanches con te all’ibisco buono e zuccherino; e pane; la Sirenetta.

E infine, la vera gioia di Copenhagen, che mi ha visto nella fase finale ed estrema della mia PMS, la pasticceria da forno. Ecco, voi dovete sapere, ma forse l’ho anche già detto da qualche parte, che io ho una passione appassionatissima per i forni - più il posto é piccolo e vecchio e sperduto, più mi emoziono. Credo che qualcuno dovrebbe inventare la facoltà di Filologia dell’Arte Bianca e studiare radici, stemmata e filiazioni delle produzioni di pani in tutto il mondo, perché credo che sarebbe una meravigliosa mappa alternativa della storia dellumanità. Se siete come me, la Danimarca vi farà sognare. Non per niente quei fini osservatori degli statunitensi chiamato tutto quello che non é croissant o pain au chocolat danish pastry. E la danish pastry, non c’é niente da dire, é davvero buona. La mia cosa preferita in assoluto é stato questo fagottino di pasta sfoglia e semi di papavero che si chiama tebirke, e che contiene uno strano impasto di burro salato e zucchero che si fonde in un caramello che probabilmente assomigliava all’ambrosia di cui si nutrivano gli dei; poi vedete la gloria di un direktørsnegl, che sì, era tipo grande come la mia faccia e che mi é stato dato con un cappuccino ancora più grande, ma non mi lamento , soprattutto perché aveva una consistenza creata dagli angeli, un po` pasta sfoglia e un po’ frolla, e sicuramene tutto burro- una piccola parola va spesa su questa pasticceria, che si chiama Lagkagehuset, ovvero casa della torta a strati, perché la sede madre si trova in un palazzo bianco e giallino creato negli anni ´70 su modello di, indovinate? una torta a strati; solo l’idea stessa mi fa godere, e poi la zona era una delle mie preferite dove passeggiare dopo lavoro ascoltando podcasts sulla bellezza del Solo Travelling - anche queste altre cose vengono da lì, una sfoglia non meglio identificata alle mandorle, e un ai lamponi - lo hindbærsnitter, che ha il sapore che io immaginerei per la torta a strati. La girella ve la potete trovare anche in versione cannella (kanlesnegl), qui alla Skt Peters bageri; e poi un enorme cubo di pistacchio da Anders e Maillard, brunch con tortina ai mirtilli e focaccia di pomodorini e stracciatella da Apotek 57, un’altra focaccia con pesto e patate - già - e, perché no, non la vuoi fare una pausa espresso e tartufino al rum seduto in panciolle sul molo? Eddai.

Focaccia di pesto e patate; kanelsnegl di skt Peters bageri; e skt Peters bageri; brioscina ai mirtilli di Apotek 57; e la loro focaccia con I pomodorini e la stracciatella; un croissant alle mandorle di Benji; casette colorate belle; un murales da pavimento (?) di Superkilen parce; il cubo al pistacchio; quella cosa ai lamponi che é troppo lunga da scrivere ma davvero buona; i canali di Christianhavn; lo stand della Mikkeller al mercato, tartufino al rum con espresso; aperitivo con Carslberg; tebirke


In realtà, manca ancora una nota da fare - la serata più bella dei miei giorni a Copenhagen, quella dell’aperitivo sulla torre che poi é stato seguito dal cocktail bar più interessante e buono che io abbia mai frequentato, il Balderdash; c’era una ricetta con cuore di cervo ma non ce la siamo sentita, e abbiamo optato per una specie di gin tonic al sambuco e altre amenità - blond ambition - e un old fashioned al mais - rosted corn old fashioned; il primo sapeva di picnic al sole, il secondo di panettone mangiato a Natale davanti al camino.


Ed é tutto per ora! Andateci a Copenhagen, su.

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